L’istante zero
Si avvicinò alla finestra, spostando un poco, con due dita, le veneziane, per osservare il fluire delle macchine e le luci convulse della piazza. “Posso aprire subito il pacchetto o devo attendere domani sera?” chiese Laura.“E’ solo un pensiero per addolcire un po’ le delusioni. Lo apra” scartando, in effetti, c’era soltanto una tavoletta di cioccolata all’arancia.
Laura sorrise: “E’ un pensiero delizioso, grazie!» e ne offrì un quadretto a Guido, che accettò con golosità. Rimasero lì, in silenzio, vicini, a osservare annoiati la vita che si svolgeva al di là del vetro. Guido staccò un altro quadretto di cioccolata, porgendo la tavoletta di nuovo a Laura. Andarono avanti così qualche minuto, mangiando cioccolata e riflettendo in silenzio, ciascuno per il suo, senza pensare ai massimi sistemi dell’esistenza, senza chiedersi nulla a cui non vi fosse già una risposta. Anche il luogo sembrava fatto apposta per riflettere: l’ufficio in penombra era una cortina ideale tra se stessi e il mondo impazzito. Un momento completo, tondo, che lì iniziava e lì finiva, senza aspettative e senza emozioni. A un certo punto, Guido scosse la testa silenziosamente e il gesto non passò inosservato a Laura, che confessò: «Lo sa? Mi dispiace di non avere avuto il tempo di conoscerla meglio».
«Crede che ci sia tanto da conoscere dietro quello che ha già visto? Io sono così come mi vede: Guido Vivanti, ordinario di filologia romanza, ultracinquantenne, marito, padre, nonno quasi perfetto» rispose con il suo abituale sarcasmo. Guardandola negli occhi, mentre le rubava l’ultimo quadretto di cioccolata, aggiunse malinconicamente: «Tutto il resto non ha importanza. Dopo un certo punto della vita, il resto o lo si è raggiunto e lo si vive, o può rimanere nascosto tra i libri. Ma vorrei che lei non facesse i miei errori. Non si fidi delle sue scelte, segua qualche volta il suo istinto… anche a rischio di sbagliare». Alla fine di dicembre, il bilancio personale di Guido era disastroso. La parte emotiva di sé lo incitava a rivoluzionare la sua vita, ma quella razionale rispondeva che non esisteva nulla che potesse far sperare in un cambiamento. Era stata semplicemente confermata la sua vita silente, l’ennesima condanna all’esilio dalla sua stessa esistenza.
«Non la capisco. Anche la mia vita è fatta di ruoli e credo sia impossibile cambiarli. Diciamo che mi spaventa l’idea di rivoluzionare le cose»: quella calma illusoria le sembrava ormai l’unica sicurezza. Guido annuì in silenzio. Conosceva molto bene quel tipo di acquiescenza esistenziale.
«Devo andare, ora. Voglio sperare che quando ripenserà – se mai ripenserà – al dorato mondo accademico, le torni in mente questo momento di verità scomode che ci siamo confidati e… questa cioccolata che era davvero squisita» concluse sorridendo con un inusuale moto di simpatia e di tenerezza.
In quell’istante dei passi concitati annunciarono il sopraggiungere trafelato del caporedattore, che sbatté la porta del suo ufficio senza accorgersi di nulla e di nessuno. Il fremito di Laura non passò inosservato: «Ha paura di qualcuno?» le chiese sottovoce Guido. Lei fece di no con la testa e gli si avvicinò: «Non volevo nessuno intorno, stavamo parlando così bene».
«Ma ci siamo detti tutto quello che dovevamo dirci» rispose Guido, andando verso la sedia su cui erano appoggiati il cappotto, il cappello e la cartella: «Mi consideri però sempre a sua disposizione qualora le venisse in mente di riaffrontare i trovatori provenzali”…