Intervento del prof. Emerico Giachery in occasione della presentazione del libro, 31 marzo a Roma, Teatro Vascello

Due parole prima del testo di questo straordinario intervento: straordinario per la persona che lo ha redatto, il prof. Emerico Giachery, insigne saggista e scrittore, già Ordinario di Storia della letteratura italiana all’Università di Tor Vergata (Roma); per la speciale capacità di leggere nell’animo e persino nelle intenzioni dell’autrice; infine, per la leggerezza e l’ironia che hanno accompagnato una lettura densa di spunti e di riferimenti preziosi. E’ con immensa gratitudine che pubblico, previo consenso, il suo prezioso contributo:

“Una gentilissima (gentilissima anche in senso dantesco) scrittrice e giornalista invita un ottantottenne professore di letteratura a salutare stasera la presentazione del suo primo romanzo. Questo professore, guarda caso, ha il nome di un trovatore provenzale, Aymeric de Peguilhan, che in italiano è Emerico. E inoltre ha sperimentato, nella lontanissima giovinezza, l’amor de lonh, come Jaufre Rudel, la cui presenza ha una misteriosa centralità del romanzo. Era naturale, anche per queste ragioni, che il vecchio docente aderisse con gioia, rispondendo addirittura in provenzale trobadorico con le parole di Arnaut Daniel :”Tan m’abelis vostre cortes deman” (Purgatorio, XXVI, 14). Il romanzo di Luisa Sisti è certo l’unico che abbia come protagonista un filologo romanzo. Che si chiama Guido, nome che nel Duecento era quasi obbligatorio per un poeta toscano. Guido si innamora di Laura, nome che non potrebbe essere più sacro alla storia della poesia amorosa. Sono dunque <due personaggi> che evocano indirettamente, quasi con un ammicco complice, segni archetipici presenti e profondi nel nostro DNA occidentale. Ecco dunque un “romanzo” (sostantivo) intimamente “romanzo” (aggettivo), in questa stagione folta di di romanzi rispettabili soprattutto americani.  Guido non insegna una materia qualsiasi della Facoltà di Lettere: non Storia del Risorgimento, non Filologia e storia bizantina. Bensì filologia romanza. Permettetemi, a questo punto, una minuscola parentesi memoriale anche, perché no?, storico-culturale. Gli anni in cui è ambientato il romanzo sono quelli in cui ho vissuto, anche sul piano culturale, un momento straordinario della mia giovinezza e della mia vita. Erano gli anni, certo, in cui Mina, evocata nella colonna sonora del romanzo per la nota canzone Il cielo in una stanza, esordiva, giovanissima e affascinante, dondolandosi su una specie di altalena e cantando Tintarella di luna, che conquistò l’Europa. Anni in cui l’attentato a Togliatti, descritto da Laura nel giornale su cui scriveva, creò un subbuglio da cui ci salvò la generosa vittoria ciclistica di Gino Bartali. Ma erano anche anni in cui i nostri studi diletti erano alimentati da grandi filologi romanzi che scavavano nell’anima profonda d’Europa, dell’amatissima Europa: da Ernst Robert Curtius a Erich Auerbach a Leo Spitzer, che considero uno dei miei maestri ideali. Ricorderò tra l’altro un bellissimo libro, uscito nel 1947, del filologo grigionese Reto Bezzola: Le sens de l’aventure e de l’amour, su Chretien de Troyes. Ma ora congiungiamo il pathos dei maestri d’amore del medioevo romanzo alla musica. Il congiungimento avviene attraverso la virtuale “colonna sonora” che dovrebbe accompagnare la lettura del romanzo di Luisa Sisti. E il raccordo avviene attraverso l’evocazione di un capolavoro molto amato da Guido, il Tristan und Isolde di Wagner, in cui i profondi motivi di amore e morte del medioevo romanzo, riaccesi nel cuore dell’Ottocento, toccano il vertice più struggente dell’amore e dell’arte musicale già nello straordinario preludio. Non immaginerei questo libro senza la musica. La musica crea una sorta di filigrana tematica che ha un momento implicitamente drammatico nell’incidente che priva della mano destra la giovane pianista Flaminia, figlia di Guido; e ci vorrebbe un musicista che componesse per lei un Concerto per la mano sinistra come quello in Re maggiore composto da Ravel per Paul Wittgenstein, grande pianista e che aveva perduto la destra sul fronte della prima guerra mondiale. Ma la musica non è solo quella dei suoni, è anche nel fluire dei pensieri e dei ricordi, soprattutto quelli d’amore. E’ nelle consonanze fra gli esseri, è anche una sorta di essenza orfica. E proprio in questo senso profondo, non nel senso esteriore di musicalità, c’è musica in questo libro. Specie nei drammatici capitoli finali avverto un emozionante coagulo di musica-esistenza, o esistenza-musica. Non sono, né sono mai stato, un critico militante e perciò non mi pongo il problema di collocare in un contesto un libro come questo. Libro ricco di suggestive atmosfere, di orizzonti, di interni. Animato da un’intensa ricerca di senso, in doloroso, costoso (in ogni autentica vita è tale) itinerario verso quello che Jung amava definire il Sé. A questo punto non mi resta che ascoltare, con affettuosa attenzione, i relatori che mi aiuteranno a capire meglio l’avventura umana e letteraria che questo libro rappresenta. Li saluto, e saluto il coro silenzioso degli ascoltatori”