Conegliano, 18 novembre. Menzione d’onore per “Endecasillabo”
Nella Sala Consiliare si è svolta la cerimonia di premiazione del concorso di poesia “Città di Conegliano 2018”, dove la ballata “Endecasillabo” (2001) ha ricevuto la Menzione d’onore (nella foto, la premiazione). La metrica, in particolare l’endecasillabo moderno, è stata da sempre una mia passione o meglio un chiodo fisso: passione pienamente condivisa con il grande poeta fiorentino, scomparso nel 2007, Alessandro Parronchi, che ho avuto l’onore di conoscere personalmente. Non dimenticherò mai l’ospitalità di Nara, sua moglie, durante i pranzi squisiti cui venivo regolarmente invitata nel periodo della prima stesura della sua (sconfinata) bibliografia, né le parole di sostegno che Parronchi stesso diede alle mie poesie, nelle quali non credevo. Oggi, a distanza di tanti anni, mi accorgo che alcune di queste stanno ottenendo un successo tanto insperato quanto inaspettato. Sto quindi pensando a una prima vera edizione della silloge, probabilmente arricchita di qualche nuovo ‘parto’ … Vedremo. Nel frattempo stapperò la bottiglia di Prosecco vinta insieme al Diploma d’onore! Di seguito, la mia “Endecasillabo”, il cui ritmo è stato menzionato dalla Giuria nella motivazione del premio.
Endecasillabo
Non c’è traccia di lui. E’ passato di qui
come una parola che non resta.
Un lampo, un tetto, una finestra
e la paura del giorno.
E’ stato detto tutto, tutto già scritto
dagli amici poeti, dall’occhio limpido
e dalla mente forte.
E gli altri? Sono la vita: il figlio
che a vent’anni tira le somme,
spegne la luce e se ne va di casa.
Gli amici e i cavalier, l’arme e gli amori,
meglio sarebbe dire anche il dolore,
ma non sarebbe chiasmo. E forse poco importa.
Il mito di quelle undici sillabe
così cercate, amate, detestate,
mi suona vecchio, come le idee confuse
che ho conservato in questa testa vuota.
E gli anni passano. Vive soltanto, forte,
il disinganno, la sensazione amara,
di non vedere e di non esser visti.
Assurda questa vita, eppure penso
che l’importante è esistere,
il non dover subire l’alba persa
nel tutto e nell’altrove, l’illimitato
tempo chiamato eternità,
ignoto al nostro senso del fugace.
Niente saggezza, non è per le mie tasche.
A me basta, in fondo, accendere la radio,
non traversare con l’immaginazione
il risuonare di queste stanze vuote.
La musica, il tango argentino, il rosso,
le altre tinte di cui la vita è intessuta
esangue e variegata, ci invitano
col passo malcerto ed istintivo
di chi non sa ballare ma va in pista,
sospinto da una forza innaturale.
L’insonnia, il bianco del soffitto
per chi ha il corpo sano e i nervi
a pezzi, affondati nel fruscio di pensieri
che sommergono il mare ed i ricordi,
appartengono allo sfondo musicale.
Ma l’unica occasione perduta,
in questo palco colore della notte,
è la parola non detta,
l’amore non tentato, il bacio non dato.
La memoria, la bellezza, la poesia:
nulla è più feroce e irreversibile
di questa strana e semplice mia vita.